24 SETTEMBRE 1997
SENTENZA N. 9391 DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,SEZIONE I CIVILE
sul ricorso proposto
da
L’EDITORIALE LA REPUBBLICA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, SCALFARI EUGENIO, CIRILLO
ENZO, elettivamente domiciliati in Roma Via N. Porpora 9, presso gli avvocati Bruno Guardascione e Vittorio Ripa di Meana, che li rappresentano e difendono giuste deleghe a margine del ricorso;
Ricorrenti
contro
MERLI BRANDINI PIETRO;
Intimato
e sul 2 ricorso n. 04057-95
proposto
da
MERLI BRANDINI PIETRO, elettivamente domiciliato in Roma Largo Del Teatro Valle 6, presso gli avvocati Stefano D’Ercole e Massimo Garutti, che lo rappresentano e difendono giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;
Controricorrente e ricorrente incidentale
contro
L’EDITORIALE LA REPUBBLICA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, SCALFARI EUGENIO, CIRILLO ENZO, elettivamente domiciliati in Roma. Via N. Porpora 9, presso gli avvocati Bruno Guardascione e Vittorio Ripa di Meana, che li rappresentano e difendono giuste deleghe a margine del controricorso;
Controricorrenti
avverso la sentenza n. 1524-94 della Corte d’Appello di Roma, depositata il 30-05-94;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07-03-97 dal Relatore Consigliere Dott. Salvatore Di Palma;
udito per i ricorrenti, l’Avvocato Guardascione, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso principale e l’inammissibilità, o comunque il rigetto, del ricorso incidentale;
udito per il resistente e ricorrente incidentale, l’Avvocato Garutti, che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento dell’incidentale;
udito il P.M. in persona dell’avvocato Generale dello Stato Dott. Franco Morozzo Della Rocca che ha concluso per l’accoglimento del 1 motivo del ricorso principale con l’assorbimento del 2 motivo; rigetto del ricorso incidentale.
Fatto
1.1. Con citazione del 24 aprile 1989, Pietro Merli Brandini convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma la Editoriale “La Repubblica” S.P.A., Eugenio Scalfari – quale direttore responsabile del quotidiano “La Repubblica” – ed Enzo Cirillo – giornalista dello stesso quotidiano- chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni subiti a seguito della pubblicazione, sul quotidiano medesimo, di tre articoli di contenuto reputato falso e gravemente lesivo della sua reputazione ed identità personale.
Costituitisi, i convenuti instarono per la reiezione della domanda.
Il Tribunale adito, con sentenza del 13 maggio – 23 giugno 1992, accolse la domanda e, fra l’altro, condannò i convenuti in solido al risarcimento dei danni in favore dello attore – danni, che furono liquidati nella somma di L. 30 milioni oltre interessi – ordinando, altresì, la pubblicazione della sentenza.
1.2. Avverso tale decisione i convenuti soccombenti proposero appello dinanzi alla Corte di Roma, ribadendo che il contenuto dei predetti articoli rappresentava esercizio del diritto di cronaca.
Costituitosi, il Merli Brandini insto’ per la reiezione del gravame.
La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 13-30 maggio 1994, in parziale riforma della decisione impugnata, escluse la responsabilità degli appellanti per gli articoli pubblicati il 7 luglio 1987 ed il 31 agosto 1988 e ridusse la somma liquidata a titolo di risarcimento del danno a L. 15 milioni, confermando nel resto la decisione stessa.
In particolare, la Corte romana, esaminando – alla luce dei motivi di gravame – il contenuto dei primi due articoli, ha ritenuto, per un verso, che i fatti ivi riportati non sono risultati veridici, e, per l’altro, che, tuttavia, può riconoscersi al giornalista lo esimente putativa nello esercizio del diritto di cronaca. I giudici di appello hanno sottolineato che la circostanza riportata nel primo articolo (pubblicato il 7 luglio 1987 con il titolo “F.S., una lottizzazione selvaggia”) secondo la quale il Merli Brandini aveva rivestito contemporaneamente le cariche di consigliere di amministrazione dello Ente Ferrovie dello Stato e di presidente della Isril S.r.l., beneficiaria di una consulenza da parte dello Ente predetto – è risultata non vera, in quanto lo attore ha dimostrato di essersi dimesso dalla carica di consigliere e da socio della Società Isril in data 26 novembre 1985 e, quindi, prima della assegnazione della consulenza alla Isril, a questa affidata dallo Ente Ferrovie il 4 giugno 1986; e che anche la notizia riportata nel secondo articolo (pubblicato il 31 agosto 1988) – secondo cui il Merli Brandini ricopriva contemporaneamente le cariche di consigliere di amministrazione delle F.S. e della CIT FRANCE S.A. è risultata non veridica alla epoca della pubblicazione dell’articolo, avendo lo attore provato di essersi dimesso dalla carica di consigliere della CIT FRANCE in data 27-28 luglio 1988. Stabilita la non veridicità delle predette notizie, la Corte romana ha affermato che le concorrenti circostanze della mancata pubblicità delle dimissioni (dalla Isril e dalla CIT FRANCE) e del mancato deposito delle stesse presso il Registro delle imprese del tribunale, e la considerazione che le dimissioni da consigliere della CIT hanno preceduto di appena un mese la pubblicazione della notizia sul quotidiano inducono a ritenere presente nel giornalista, alla epoca della redazione degli articoli, la ragionevole – ancorché erronea convinzione che il Merli Brandini ricoprisse ancora le ricordate cariche.
I giudici di appello hanno, invece, confermato la responsabilità degli appellanti relativamente al contenuto del terzo articolo (pubblicato il 20-21 novembre 1988) – nel quale il Merli Brandini veniva indicato tra i consiglieri delle F.S. inquisiti per lo scandalo delle “lenzuola di oro” – osservando, in primo luogo, che la notizia è del tutto destituita di fondamento e che il suo carattere diffamatorio permane nonostante la spontanea rettifica pubblicata su “La Repubblica” del 22 novembre 1988; in secondo luogo, che dalle risultanze di causa emerge che la notizia e’ stata pubblicata nella piena consapevolezza della sua falsità e con la intenzione di recare offesa alla altrui reputazione; ed infine, quanto alla sussistenza del nesso causale, che è pregiudizievole alla reputazione del Merli Brandini la notizia, falsa, di essere inquisito in uno scandalo.
Avverso tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione L’Editoriale La Repubblica S.P.A., il dott. Eugenio Scalfari ed il dott. Enzo Cirillo, deducendo due motivi di censura illustrati con memoria.
Resiste, con controricorso, il dott. Pietro Merli Brandini, il quale ha anche spiegato un motivo di ricorso incidentale, resistito, con controricorso, dai ricorrenti principali.
Diritto
2.1. I ricorsi nn. 2196 (principale) e 4057 (incidentale) del 1995, in quanto proposti contro la medesima sentenza, debbono essere riuniti ex art. 335 cod. proc. civ..
2.2. Con il primo motivo (con cui deducono: “Violazione o falsa applicazione di norme e di principi in tema di diffamazione: artt. 42, 43, 47, 51 cod. pen.; omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia: art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.”), i ricorrenti principali – dopo aver sottolineato che nei titoli e nel testo dell’articolo del 20 novembre 1988 non venne mai nominato il dr. Merli Brandini; che il nome di questo ultimo fu indicato nella composizione grafica dell’articolo quale componente della c.d.a. delle F.S.; che accanto al nome c’era una “freccetta” (significante “inquisito”); e che il 22 novembre 1988 (Martedì) fu pubblicata una immediata e spontanea rettifica circa la erronea (per errore tipografico) indicazione (con la “freccetta”) del Merli Brandini come inquisito – censurano la decisone impugnata, laddove la stessa, con motivazione assolutamente insufficiente, avrebbe affermato la sussistenza della diffamazione senza tener conto del peculiare mezzo usato (la “freccetta”), della rettifica spontanea con cui si dichiarava lo errore e, quindi, della evidente mancanza di dolo.
Con il secondo motivo (con cui deducono: “Contraddittoria motivazione e falsa individuazione nel dispositivo della sentenza della decisione riformata rispetto alla formazione del giudizio e della stessa sentenza: art. 360, nn. 3 e 5 cod. proc. civ.”), i ricorrenti principali lamentano, in sostanza, la contraddittorietà fra la cospicua riforma della sentenza di primo grado, operata dai giudici di appello, ed il mantenimento integrale – attraverso la formula “conferma del resto la impugnata sentenza” – dell’ordine di pubblicazione della sentenza (nel testo non riformato).
2.3. Con lo unico motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1176, 2 comma e 2043 cod. civ. – artt. 42, 43, 47, 51, 595, 596 bis c.p. – e delle norme in tema di diffamazione: omessa e insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia – art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.”), il ricorrente incidentale censura la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto esenti da responsabilità i ricorrenti principali per errore scusabile sul legittimo esercizio del diritto di cronaca; e sostiene che, nella specie, la Corte romana ha affermato la sussistenza dell’errore scusabile, nonostante che gli appellanti non avessero affatto dimostrato la sussistenza di un evento positivo alteratore della conoscenza dei fatti da parte del giornalista e soprattutto di aver ricercato la verità dei fatti con ogni possibile cura.
2.4. I ricorrenti principali eccepiscono, preliminarmente, la inammissibilità del controricorso e ricorso incidentale, in quanto nelle copie dello atto a ciascuno di loro notificate manca la certificazione della autografia della sottoscrizione del controricorrente e ricorrente incidentale da parte del difensore.
La eccezione è priva di fondamento. Costituisce, infatti, costante orientamento di questa Corte (cfr., da ultima, sent. S.U. n. 4191 del 1996, ed ivi i precedenti conformi), condiviso dal Collegio, quello secondo cui la mancata certificazione della autografia della sottoscrizione del ricorrente, apposta alla procura speciale in calce o a margine del ricorso (e, quindi, a maggior ragione, della copia notificata dello stesso), costituisce una mera irregolarità, che non comporta la nullità della procura ad litem, non essendo tale nullità comminata dalla legge e non incidendo la predetta formalità sui requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo dell’atto, individuabile nella formazione del rapporto processuale attraverso la costituzione in giudizio del procuratore nominato, salvo che la controparte non contesti, con valide e specificate ragioni e prove, la autografia della sottoscrizione non certificata.
Nel ribadire siffatto orientamento, il Collegio rileva anche che la contestazione della autografia della sottoscrizione di Pietro Merli Brandini, formulata dai ricorrenti principali, non è corroborata da valide e specifiche ragioni e prove, risultando, anzi, affatto generica.
2.5. Il primo motivo del ricorso principale merita accoglimento.
La motivazione della decisione impugnata, nella parte relativa alla affermazione di responsabilità dei ricorrenti principali per l’articolo del 20-21 novembre 1988, è insufficiente e apodittica relativamente al profilo della sussistenza dello elemento soggettivo dell’illecito diffamatorio in capo ai ricorrenti medesimi.
Infatti, la Corte romana – laddove afferma testualmente che la doglianza formulata dagli appellanti (mancanza dell’elemento intenzionale necessario ad integrare il reato di diffamazione) “del tutto generica e contrastata dalle risultanze di causa, dalle quali emerge che la notizia è stata pubblicata con la piena consapevolezza della sua falsità e con la intenzione di recare offesa alla altrui reputazione” – motiva in modo insufficiente, nella misura in cui non tiene conto, per pervenire alla decisione di responsabilità dei ricorrenti principali, delle circostanze, incontestate (in quanto documentali), della particolare modalità di pubblicazione della notizia ritenuta diffamatoria (composizione grafica, dalla quale soltanto – e non dal testo dell’articolo – emerge la “notizia”, falsa, della sottoposizione del Merli Brandini a procedimento penale), nonché della immediata, spontanea “rettifica” (ai sensi dell’art. 2 comma 2 l. n. 69 del 1963, sullo ordinamento della professione di giornalista, a norma del quale devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte e riparati gli eventuali errori) della notizia medesima; circostanze, queste, certamente “decisive” – si ribadisce – relativamente al profilo della sussistenza, in capo ai ricorrenti principali, dell’elemento soggettivo dell’illecito, anche alla luce dei principi in materia di errore giuridicamente rilevante. Ma i giudici di appello motivano anche, sul punto, in modo apodittico, nella misura in cui alludono soltanto, senza alcuna (doverosa) specificazione, a “risultanze di causa”, che contrasterebbero la tesi degli attuali ricorrenti principali.
Alla luce delle considerazioni che precedono, la decisione impugnata deve essere annullata in parte qua e la relativa causa rinviata, anche per il regolamento delle spese del presente grado di giudizio, ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.
2.5. Il secondo motivo del ricorso principale resta, ovviamente, assorbito, dipendendo la sua risoluzione (anche) dallo esito del giudizio di rinvio.
2.6. Il ricorso incidentale deve essere, invece, respinto.
Come già rilevato (cfr., supra svolgimento del processo n. 1.2.), la Corte romana – pur avendo accertato la non veridicità, al momento della pubblicazione, di due notizie, pubblicate, rispettivamente, negli articoli del 7 luglio 1987 e 31 agosto 1988: e cioè, quella secondo cui il Merli Brandini era presidente della Isril S.r.l. al momento della assegnazione di una consulenza e tale Società da parte dello Ente Ferrovie dello Stato; e quella secondo cui il ricorrente incidentale ricopriva contemporaneamente le cariche di consigliere di amministrazione delle Ferrovie dello Stato e della CIT FRANCE S.A. (essendo risultato vero, invece, che il Merli Brandini si era dimesso dalle predette cariche prima della pubblicazione delle notizie) – ha ritenuto applicabile, in favore del giornalista, la esimente putativa dell’esercizio del diritto di cronaca (combinato disposto degli artt. 21 Cost., 51 comma 1 e 59 comma 3 cod. pen.), ancorandola alle concorrenti circostanze che a) – le dimissioni no erano state rese pubbliche, b) – le stesse non erano state depositate presso il Registro delle imprese, c) – le dimissioni dalla carica di consigliere di amministrazione della CIT FRANCE avevano proceduto di appena un mese la notizia pubblicata nell’articolo del 31 agosto 1988.
A fronte di tale “ratio decidendi”, vi è immediatamente da osservare che il ricorrente incidentale, a ben vedere, non contesta alcuna delle prime due circostanze (la terza è documentale e, comunque, pacifica), sulle quali i giudici di appello hanno fondato la propria decisione; sicché, deve ritenersi incontestata fra le parti quella secondo cui gli atti di dimissione del Merli Brandini sia dal c.d.a. della Isril, sia dal c.d.a. della CIT FRANCE non hanno mai formato oggetto della prescritta pubblicità legale. E’ noto, infatti, che lo art. 2385 comma 3 cod. civ. (i cui primi due commi disciplinano, per la società per azioni, la cessazione degli amministratori per la rinuncia allo ufficio o per scadenza del termine e la decorrenza dei relativi effetti) – richiamato, per la società a responsabilità limitata, dal successivo art. 2487 comma 2 – prescrive che la cessazione degli amministratori dall’ufficio per qualsiasi causa deve essere iscritta entro quindici giorni nel registro delle imprese a cura del collegio sindacale e pubblicata nel Bollettino ufficiale delle società per azioni e a responsabilità limitata; come è noto che l’art. 2457 – ter comma 1 cod. civ. statuisce che gli atti per i quali il codice prescrive, oltre la iscrizione o il deposito nel registro delle imprese, la pubblicazione nel B.u.s.a.r.l., sono opponibili ai
terzi soltanto dopo tale pubblicazione, a meno che la società provi che i terzi ne erano a conoscenza; così come è noto che, ai sensi dell’art. 2626 comma 1 cod. civ., costituisce violazione amministrativamente sanzionata, tra le altre, quella degli amministratori, dei sindaci o dei liquidatori che omettono di fare denunzie comunicazioni o depositi prescritti dalla legge all’ufficio del registro delle imprese, o di richiedere una pubblicazione nel B.u.s.a.r.l. nei casi in cui – come nella specie – la pubblicazione medesima è richiesta dal codice. Le predette forme di pubblicità dichiarativa relative alla cessazione degli amministratori si inseriscono, quindi, nel regime di pubblicità legale delle imprese, la violazione del quale, oltre ad integrare specifici illeciti amministrativi (il che testimonia lo interesse pubblico al rispetto ed alla tutela di tale regime), comporta la conseguenza che lo atto per cui e’ stata omessa la prescritta pubblicità deve presumersi ignoto ai terzi (art. 2457 – ter comma 1 cod. civ.).
D’altro canto, è, altresì, noto che, secondo un consolidato indirizzo di questa Corte – sia in sede penale (cfr., ad es., sentt. nn. 7876 del 1987 e 7843 del 1990 della se. V), sia in sede civile (cfr., ad es., sentt. nn. 9365 del 1991 e 4871 del 1995) – ai fini dell’effetto giustificativo dello esercizio del diritto di cronaca, in tema di reato di diffamazione col mezzo della stampa, per stabilire se siano stati rispettati i limiti di tale diritto, deve aversi riguardo alla verità della notizia al momento della sua diffusione; e che la eventuale discrepanza tra il fatto narrato e quello effettivamente accaduto non esclude che possa essere invocata la esimente, anche putativa, dello esercizio del diritto di cronaca, quando colui che ha divulgato la notizia, pur avendo compiutamente adempiuto il dovere di controllo delle fonti di cui l’ha appresa, abbia una percezione erronea della realtà.
Orbene – posto che costituiscono circostanze incontestate fra le parti sia quella che il Merli Brandini ha rivestito le cariche di consigliere di amministrazione della Società Isril e della CIT FRANCE; sia quella che lo stesso aveva rassegnato le dimissioni dalle cariche medesime al momento della pubblicazione delle notizie ritenute diffamatorie; sia, infine, che gli atti formali della cessazione da esse non sono mai stati “pubblicati” ai sensi e per gli effetti delle surrichiamate disposizioni – non può esservi dubbio che la Corte romana ha correttamente applicato lo istituto della esimente putativa del diritto di cronaca: infatti, tenuto conto, con riferimento al caso di specie, da un lato, che esiste una fonte legale delle notizie relative alle vicende della società per azioni e di quelle a responsabilità limitata – registro delle imprese e – o B.u.s.a.r.l. – e, dallo altro, che, comunque, il Merli Brandini aveva ricoperto le predette cariche, sia pure in epoca anteriore alla pubblicazione degli articoli “de quibus”, il fatto incontestato della omessa “pubblicazione”, (quantomeno) al momento della divulgazione della notizia, degli atti formali di cessazione dalle cariche stesse nella unica fonte ufficiale è decisivo al fine di costituire, nel divulgatore, la ragionevole convinzione circa la verità della notizia pubblicata, ed al fine di escludere, per definizione, la violazione, da parte dello stesso, del dovere di scrupoloso controllo della attendibilità della fonte.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi nn. 2196 e 4057 del 1995. Accoglie il primo motivo del ricorso principale e dichiara assorbito il secondo. Rigetta il ricorso incidentale. Cassa, in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.