6 novembre 1985 Sentenza n. 5399 della Corte Suprema di Cassazione, Sez. II Civile

6 NOVEMBRE 1985

SENTENZA N° 5399/85 DELLA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE

 

(Omissis). – Con il primo motivo il ricorrente denunzia la «violazione degli art. 1 legge n. 554 del 1940, 392 e 232 d.P.R. n. 156 del 1973 in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.» e deduce che, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte d’appello, dalle norme citate emerge chiaramente che il diritto di appoggiare antenne, sostegni, reti aeree e qualsiasi altro impianto occorrente per la ricezione dei servizi radiotelevisivi, spettante agli abitanti, anche non proprietari, dell’immobile, è «incomprimibile» e non può pertanto essere «violato o disciplinato da alcuna delibera condominiale» nel senso che la disciplina dell’uso dei beni comuni, incontra un limite invalicabile nel divieto di menomare i diritti di ciascun condomino iteria.

Con il secondo motivo il ricorrente denunzia la «violazione dell’art. 1137 c.c. e delle norme sul condominio in genere in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.» e deduce che la corte d’appello ha ritenuto soggetta all’onere d’impugnazione la delibera che ha vietato l’installazione dell’antenna, senza considerare che «ciò comporterebbe una grave disparità di trattamento rispetto agli abitanti nell’immobile a titolo diverso dalla proprietà, nel senso che questi ultimi «possono proporre, senza limiti di tempo una domanda di accertamento del loro diritto o di condanna nei confronti del condominio, mentre al condomino sarebbe invece consentito soltanto, d’impugnare la delibera entro trenta giorni».

Dal verbale dell’assemblea non risultava peraltro, contrariamente a quanto affermato dalla corte di merito, «l’acquiescenza di esso ricorrente al provvedimento di divieto».

I due motivi, sopra riassunti, esaminati congiuntamente data l’evidente connessione, sono fondati nei limiti infraprecisati.

Come accennato in narrativa i giudici di appello hanno ritenuto la domanda inammissibile sulla premessa che il diritto d’installare antenne e/o apparecchi a queste accessori su parti dell’edificio di proprietà comune, possa essere disciplinato dall’assemblea dei condomini nell’ambito delle normali attribuzioni di gestione e regolamentazione dell’uso delle parti comuni.

Secondo il parere della corte di merito, poiché, per un verso, «deve escludersi che il diritto vantato sia per sua natura incomprimibile» e, per altro verso la prassi di installazione «di un’antenna centralizzata (esistente nel fabbricato de quo) tende ad evitare il moltiplicarsi antiestetico delle antenne private sui terrazzi» deve ritenersi legittima la deliberazione dell’assemblea che «vieti l’impianto di antenne private, e di permettere ai condomini, il collegamento con l’antenna centralizzata», trattandosi «non di vietare un diritto riconosciuto dalla legge ad ogni cittadino, ma di disciplinarne l’uso».

In conclusione, «poiché l’assemblea era competente a deliberare sull’argomento posto all’ordine del giorno, l’Acinapura, a prescindere dal suo comportamento acquiescente, aveva comunque l’onere d’impugnare la relativa delibera, a sensi dell’art. 1137 c.c.».

Siffatti apprezzamenti sono inficiati da errori di diritto e non sono peraltro sorretti da adeguata motivazione.

Si premette che a sensi dell’art. 1 della l. 6 maggio 1940 n. 554 e dell’art. 232 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 156 (che sostanzialmente riproduce le disposizioni del citato art. 1) i proprietari di uno stabile o di un appartamento non possono opporsi all’installazione nella loro proprietà di antenne di sostegno, nonché al passaggio di condutture, fili o qualsiasi altro impianto occorrenti per il funzionamento degli apparecchi radioriceventi (o televisivi).

I commi 2 e 3 del citato art. 232 (richiamato espressamente dall’art. 397 stesso decreto) dispongono rispettivamente che «Il proprietario o il condomino non può opporsi all’appoggio di antenne, di sostegni, nonché al passaggio di condutture, fili o qualsiasi altro impianto nell’immobile di sua proprietà occorrente per soddisfare le richieste di utenza degli inquilini o dei condomini e che «i fili, i cavi e ogni altra installazione debbono essere collegati in guisa da non impedire il libero uso della cosa secondo la sua destinazione».

La giurisprudenza di questa corte ha ritenuto, alla stregua dell’interpretazione delle citate norme, che quello in questione sia un diritto soggettivo perfetto di natura personale (fra le altre 8 luglio 1971 n. 2160, 11 marzo 1975 n. 906 e sez. un., 22 ottobre 1976 n. 3728).

Queste ultime, investite di regolamento di giurisdizione, hanno affermato – su premessa che tale diritto è condizionato solo nei riguardi degli interessi generali, talché le installazioni devono essere eseguite in conformità delle norme contenute nell’art. 78 del r.d. 3 agosto 1928 n. 2295, ma non nei confronti dei proprietari obbligati, rispetto ai quali la legge si limita ad imporre al titolare del diritto di impianto che tali installazioni non debbono impedire in alcun modo il libero uso della proprietà secondo la sua destinazione, né arrecare danni alla proprietà medesima, che «conseguentemente la posizione giuridica di chi agisce per il riconoscimento del diritto all’installazione o di chi, nel resistere, pretende che l’impianto risponda ai requisiti di legge, è tutelabile dinanzi al giudice ordinario». Infine, con una recente decisione (16 dicembre 1983 n. 7418) questa Corte, pur non discostandosi sostanzialmente dal principio in precedenza enunciato, ha precisato che il cosiddetto diritto all’installazione si configura, non già come un autonomo diritto derivante da un vero e proprio rapporto obbligatorio ex lege, bensì come una facoltà compresa nell’amplissimo diritto primario, riconosciuto dall’art. 21 cost., alla libera manifestazione del proprio pensiero e recezione del pensiero altrui (attraverso quindi anche la diffusione o recezione delle trasmissioni radiotelevisive), facoltà costituente uno dei mezzi di attuazione di tale diritto e che (ovviamente regolamentato dalla pubblica amministrazione) nei rapporti tra privati, «non incontra altri limiti se non quello di non ostacolare il pari diritto degli altri e di non pregiudicare l’esercizio di diritti di altra natura, quale il diritto di proprietà».

Ritenuto, dunque, alla stregua di quanto sopra esposto, che il diritto all’installazione di antenne ed accessori (sia esso configurabile come diritto soggettivo autonomo, che come facoltà compresa nel diritto primario all’informazione e diretta all’attuazione di questo) è limitato soltanto dal pari diritto di altro condomino, o di altro coabitante nello stabile; e dal divieto di menomare (ovviamente in misura apprezzabile) il diritto di proprietà di colui che deve consentire l’installazione su parte del proprio immobile, si osserva che, nell’ipotesi di conflitto tra tale diritto e quello degli altri abitanti nello stabile, quali contitolari delle parti dell’edificio di proprietà comune, deve aversi riguardo sia alla sopra precisata natura giuridica del primo che alle norme in materia di comunione in genere e di condominio degli edifici.

E’ noto che il diritto del condomino sulle parti comuni dell’edificio (ed è ovvio che il diritto di colui che abita nello stabile, a titolo diverso dalla proprietà non può essere più ampio di quello del condomino) ha come fonte primaria l’art. 1102 c.c. (norma sulla comunione in genere, ma applicabile al condominio con le particolarità collegate alla struttura di edificio, in cui sono inserite le parti di proprietà comune) il quale dispone che «ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impe­disca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto e purché l’uso non comporti una innovazione.

Invero l’innovazione – se diretta al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento della cosa comune – può essere disposta soltanto dalla maggioranza qualificata dei condomini ex art. 1120, comma 1 e 1136, comma 5, c.c., ed è, invece vietata (salvo che non sia disposta all’unanimità) se può recare pregiudizio alla stabilità e alla sicurezza del fabbricato o ne alteri il decoro architettonico o ne renda talune parti inservibili al godimento o all’uso anche di un solo condomino (arg. ex art. 1120, comma 2, c.c.).

E’ noto altresì che l’assemblea dei condomini, organo preminente del condominio, e, come tale, competente a gestire e regolare l’uso delle parti e dei servizi comuni, non può nell’esercizio di tale potere menomare il diritto del condomino (sia come proprietario esclusivo di una frazione dell’edificio che come contitolare della proprietà di alcune parti dell’edificio) tanto che, come disposto dall’art. 1138, comma ult., non può formare norme del regolamento (salvo, ovviamente, che all’unanimità) che «possano in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino quali risultino dagli atti di acquisto o dalle convenzioni e… ecc.».

Deve perciò affermarsi, in applicazione dei suesposti principi che – qualora sul terrazzo di uno stabile condominiale sia installata (per volontà della maggioranza dei condomini) un’antenna televisiva centralizzata e un condomino (o un abitante dello stabile) intenda invece installare un’antenna autonoma – l’assemblea dei condomini possa vietare tale ultima installazione, solo se la stessa pregiudichi l’uso del terrazzo da parte degli altri condomini o arrechi comunque un qualsiasi altro pregiudizio apprezzabile e rilevante ad una delle parti.

Al di fuori di tale ipotesi una delibera che vieti l’installazione deve essere considerata nulla con la conseguenza che il condomino leso può far accertare il proprio diritto alla installazione stessa, anche se abbia agito in giudizio oltre i termini previsti dall’art. 1137, o, essendo stato presente nell’assemblea, non abbia manifestato espressamente la propria opposizione alla delibera stessa.

In caso di delibera nulla l’interesse a far accertare la nullità difetta solo se il condomino abbia espresso voto favorevole alla delibera, contribuendo alla formazione della volontà collettiva (25 luglio 1978 n. 3725).

Deve perciò concludersi che nella specie i giudici d’appello, in conseguenza dell’erronea comprensione della natura del diritto all’installazione e del rapporto tra l’esercizio di tale diritto ed i poteri dell’assemblea dei condomini, hanno ritenuto che il divieto d’installazione fosse stato imposto nell’esercizio delle normali attribuzioni dell’organo e, in ogni caso legitti­mamente, senza aver prima accertato, attraverso l’esame del verbale relativo alla delibera in questione, se il divieto fosse stato imposto in relazione all’eventualità che l’antenna instal­landa potesse pregiudicare realmente l’uso del terrazzo da parte dei condomini, ovvero – come assume l’odierno ricorrente – per il solo fatto della preesistenza di un’antenna centralizzata.

Il ricorso va pertanto accolto nei limiti sopra precisati e va disposto il rinvio della causa ad altro giudice, che si reputa designare in una diversa sezione della corte d’appello di Napoli, per nuovo esame, nel rispetto dei principi di diritto sopra enunciati. (Omissis)