8 aprile 2003 Sentenza n. 1873 del Consiglio di Stato, Sezione VI

08 aprile 2003

Sentenza n.1873 del Consiglio di Stato, Sezione VI


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 5391 del 1997, proposto dal MINISTERO DELLE POSTE E TELECOMUNICAZIONI, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è per legge domiciliato, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

Radio Statale 33, non costituitasi in giudizio

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, Milano, Sez. III, n. 787 del 11 giugno 1996.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del 28 gennaio 2003 il Cons. Giuseppe Minicone;

Udito l’avv. dello Stato Tortora;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

Con ricorso notificato il 21 aprile 1994, Radio Statale 33 s.a.s., nella sua qualità di proprietaria dell’emittente Rado Serena, impugnava, innanzi al Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, il decreto del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni in data 22 febbraio 1994, con il quale era stata respinta la domanda di concessione per la radiodiffusione sonora in ambito locale, per l’omesso invio della relativa documentazione entro il 30 novembre 1993.

Il giudice adito, con la sentenza in epigrafe, ha accolto il gravame sul rilievo che il termine di cui sopra doveva considerarsi meramente sollecitatorio, onde dal suo decorso non poteva farsi discendere il rigetto della domanda di concessione.

Avverso detta decisione ha proposto appello il Ministero delle Poste e telecomunicazioni, sostenendone l’erroneità, in quanto al termine in questione dovrebbe riconoscersi natura perentoria, essendo irrilevante la mancanza di una espressa indicazione, da parte del legislatore, circa la sua tassatività, evincibile dall’intero contesto normativo.

L’appellata non si è costituita.

Alla pubblica udienza del 28 gennaio 2003 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. La questione oggetto del presente appello attiene alla natura perentoria o no del termine del 30 novembre 1993, prescritto dall’art. 4, comma 3, della legge n. 422 del 27 ottobre 1993, di conversione del D.L. 27 agosto 1993 n. 323.

L’Amministrazione appellante critica la sentenza di primo grado, che ha affermato il carattere meramente sollecitatorio del termine in parola, assumendo che i termini non vanno ritenuti perentori solo se espressamente qualificati tali dalle norme che li prevedono, ma anche se la loro perentorietà può evincersi, come nel caso di specie, dalla interpretazione sistematica e teleologica delle norme medesime.

2. Sulla specifica questione questa Sezione si è già pronunciata in senso favorevole alla tesi dell’appellante (cfr. Cons. Stato, VI Sez., n. 1139 del 1 settembre 1999), attraverso argomentazioni che il Collegio ritiene di dover condividere.

3. Sotto un profilo generale, si deve convenire con l’Amministrazione che, per stabilire la perentorietà dei termini di atti dei procedimenti amministrativi, non è necessario che la legge li qualifichi espressamente tali, potendosene desumere la natura perentoria anche implicitamente, alla luce della ratio legis.

Orbene nel caso in esame, il termine del 30 novembre 1993, per la presentazione della documentazione a corredo delle domande di concessione di radiodiffusione sonora e televisiva, è da ritenersi perentorio proprio in considerazione degli scopi perseguiti dal legislatore (cfr., anche, C.G.A., 9 giugno 1998 n. 329; C.G.A., 22 luglio 1998 n. 447).

La legge n. 422 del 27 ottobre 1993 è preordinata, infatti, ad attuare la riforma del sistema radiotelevisivo, attraverso la previsione di una serie di tempestivi adempimenti a carico dei privati e dell’Amministrazione, ed ha fissato, come prima tappa di tale disegno, un termine ultimo entro cui le emittenti televisive e radiofoniche avrebbero dovuto regolare la propria posizione.

Il termine del 30 novembre 1993, essendo stato prescritto per consentire di porre fine a situazioni di irregolare esercizio dell’emittenza radiotelevisiva, attraverso la documentazione del possesso dei prescritti requisiti, non può, pertanto, che rivestire carattere perentorio.

4. A tale conclusione si perviene, del resto, anche alla stregua del contesto normativo in cui si è inserita la citata legge n. 422 del 1993.

Al riguardo, va ricordato che l’art. 32, comma 1, della legge 6 agosto 1990, n. 223, aveva autorizzato la prosecuzione provvisoria dell’esercizio di emittenti televisive e radiofoniche, che già operavano alla data di entrata in vigore della legge medesima, prevedendo che l’autorizzazione provvisoria fosse destinata ad operare fino al rilascio della concessione definitiva o al suo diniego e, comunque, per un periodo non superiore a settecentotrenta giorni dalla sua entrata in vigore.

Il termine per l’esercizio provvisorio è stato, poi, differito al 30 novembre 1993, per la radiodiffusione sonora, dall’art. 1, comma 3, del D.L. 19 ottobre 1992 n. 407, convertito dalla legge 17 dicembre 1992 n. 482, ed è stato, quindi, ulteriormente prorogato al 28 febbraio 1994 dall’art. 4, comma 1, della più volte citata legge n. 422 del 1993, di conversione del D.L. n. 323 del 1993.

Tale ultima disposizione, nel prorogare fino al 28 febbraio 1994 il termine del 30 novembre 1993, ha, però, confermato in tale ultima data il momento finale per produrre la documentazione attestante il possesso dei requisiti, e, dunque, per regolarizzare la posizione delle emittenti radiofoniche in ambito locale.

5. Dall’esame della disciplina sopra descritta si ricava agevolmente la conclusione che, nel disegno normativo, il 30 novembre 1993 ha costituito un termine “di grazia” per regolarizzare posizioni da anni esercite in via di mero fatto e, quindi, un’ulteriore conferma della perentorietà del termine legislativo.

6. Del resto, che il termine stabilito dall’art. 32 della legge n. 223 del 1990, per la presentazione della domanda di concessione, fosse un termine perentorio, lo si desume sicuramente dal contenuto della disposizione, la quale, nell’autorizzare i privati – che alla data di entrata in vigore della legge esercivano impianti per la radiodiffusione sonora o televisiva in ambito nazionale o locale e i connessi collegamenti di telecomunicazione – a proseguire nell’esercizio degli impianti, stabiliva che tale autorizzazione era data “a condizione” che, entro sessanta giorni dalla predetta data, avessero presentato la domanda per il rilascio della concessione, collegando alla mancata presentazione della domanda nei termini di legge un effetto negativo per gli interessati, vale a dire il mancato conseguimento della autorizzazione provvisoria ex lege, con la conseguente sanzione della disattivazione degli impianti (art. 32 comma 5).

Ora, poiché l’art. 4 del D.L. 27 agosto 1993, n. 323, da un lato prevede la ulteriore proroga di attività per le emittenti già autorizzate ex lege, dall’altro impone la presentazione di documenti per il rilascio della concessione, precisando che tale “documentazione… deve essere inoltrata al Ministero delle poste e delle telecomunicazioni entro il termine del 30 novembre 1993”, si deve ritenere, anche sotto il profilo logico, che la espressa perentorietà del termine originario (fissato per la presentazione della istanza) si estende al termine successivo (fissato per la integrazione della documentazione).

Sarebbe, infatti, illogico assumere che il legislatore, dopo avere indicato un termine perentorio per la presentazione delle domande di concessione, abbia, poi, consentito ai richiedenti di disattendere il termine fissato dall’art. 4 del decreto legge n. 323 del 1990 per la presentazione dell’ulteriore documentazione ivi richiesta, relativa pur sempre alla stessa domanda.

7. Per tali considerazioni, l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado deve essere respinto.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese e gli onorari del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione VI), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, come specificato in motivazione, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso proposto in primo grado.

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, addì 28 gennaio 2003, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione VI) in Camera di Consiglio, con l’intervento dei Signori:

Mario Egidio SCHINAIA   Presidente

Alessandro PAJNO   Consigliere

Luigi MARUOTTI   Consigliere

Carmine VOLPE   Consigliere

Giuseppe MINICONE  Consigliere Est.