Sentenza 14 febbraio 1997, n.37 del TAR Liguria, Sez.II


14 FEBBRAIO 1997

SENTENZA N.37 DEL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA LIGURIA – SEZIONE II


Esposizione del fatto

Con ricorso notificato il 7 maggio 1996 la sig.ra Maria Bisanti impugnava, chiedendone l’annullamento, il decreto in data 25 marzo 1996 con il quale il Prefetto di Genova aveva respinto il ricorso gerarchico avverso provvedimento del Questore della medesima Città con il quale le era stato ordinato di cessare l’attività di cartomante, sia in privato, sia sulla rete televisiva “Telegenova”.

Esposta una lunga premessa in fatto sulle norme applicate – il T.U. di P.S. ed il relativo regolamento di esecuzione – e sulla giurisprudenza in materia e più in generale sul comune sentire circa la parapsicologia e l’occultismo, la Bisanti introduceva in diritto le seguenti censure:

Violazione e falsa applicazione dell’art. 121 del R.D. 18/6/31 n. 773, del R.D. 6/5/40 n. 635 e dell’art. 3 L. 241/90. Eccesso di potere sotto svariati profili. Il Prefetto ha respinto il ricorso gerarchico della Bisanti sul presupposto delle norme di P.S. rubricate, ritenendo che l’attività di cartomanzia integri di per sé l’esercizio del mestiere di “ciarlatano”. In realtà il “ciarlatano” è un imbroglione, un impostore o un truffatore e quindi l’attività di cartomante sfocia in tale fattispecie solamente ove essa si concretizzi nell’imbroglio, nell’abuso della credulità popolare o nella suggestione, né si può ritenere che la cartomanzia sia oggigiorno considerata un’impostura. L’insufficiente motivazione del provvedimento impugnato non permette altra prospettazione.

La ricorrente concludeva per l’accoglimento del ricorso con vittoria di spese.

L’Amministrazione dell’Interno si è costituita in giudizio sostenendo l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.

Con ordinanza n. 204 del 6 giugno 1996 questo Tribunale ha rigettato l’istanza di sospensione del provvedimento impugnato.

Alla odierna udienza pubblica la causa è passata in decisione.

Motivi della decisione

Deve essere in primo luogo esaminata l’eccezione del resistente Ministero dell’Interno, secondo la quale il ricorso sarebbe inammissibile perché rivolto avverso la sola decisione prefettizia sul ricorso gerarchico e non contro il provvedimento di base assunto dal Questore di Genova.

L’eccezione è infondata.

Se da un lato la proposizione di un ricorso gerarchico non consuma di per sé i poteri della autorità sottostante (cfr. T.A.R. Liguria, I, 3 settembre 1991 n. 532) e comunque in caso di rigetto l’impugnativa del provvedimento di base è utile per il ricorrente (cfr. Cons. Stato, IV, 4 settembre 1996 n. 1010), tali argomentazioni non possono essere capovolte per giungere ad una dichiarazione di difetto di interesse nei confronti di un gravame volto avverso la pura e semplice reiezione del ricorso gerarchico.

In ogni caso il rigetto di ricorso gerarchico assume il carattere di conferma del provvedimento sottostante, conferma che viene assunta nel medesimo plesso amministrativo da cui il provvedimento sottostante promana e che, in qualche modo, esaurisce le potestà della P.A. sul punto, sempre fatti salvi gli atti di ritiro.

La decisione di reiezione perciò, anche se nella sostanza nulla immuta per il ricorrente, ha comunque valore di pronuncia definitiva dell’Amministrazione sulla questione e deve valere per l’amministrato come il provvedimento costitutivo finale.

Quindi, per il suo contenuto di sostanziale conferma, permetterà all’interessato di impugnare il solo provvedimento di base, ma lo lascerà altresì libero di proporre il gravame avverso l’ultimo atto definitorio, ossia la decisione gerarchica di conferma del provvedimento (cfr. per tutte Cons. Stato, Ad. Plen. 24 novembre 1989 n. 16).

Il ricorso appare fondato nel merito e deve essere accolto.

Anche se la normativa contenuta dal T.U. delle leggi di pubblica sicurezza e dal relativo regolamento di esecuzione non ha subito modificazioni nel corso di questo sessantennio, ritiene il Tribunale che se ne possa fornire una interpretazione obiettiva alla luce dei nostri giorni, stante anche la recente giurisprudenza del giudice ordinario e della Cassazione in particolare, oltre che della medesima Amministrazione centrale del Ministero dell’Interno.

Se la norma del 1931 aveva un interesse da tutelare, questo era in primo luogo quello della popolazione dei centri minori di un’Italia non ancora radicalmente urbanizzata, ad economia a forte prevalenza agricola e soprattutto con un numero più o meno decuplo di analfabeti. Dunque un interesse che risiedeva nella necessaria tutela di quella cosiddetta “credulità popolare”, l’abuso della quale veniva nella stessa epoca sanzionato penalmente, con corrispondente articolo del codice penale tuttora vigente.

Ora, al di là di facili e forse ottimistiche prese di posizione sul venir meno della necessità della tutela della credulità popolare, si deve però rilevare come sia cambiato il quadro di insieme della società italiana nel finire del secolo, come sia diversa oggigiorno l’attività di cartomanti, chiromanti ed astrologi e come si debba intendere la proibizione della ciarlataneria, certamente ben diversa dai girovaghi di paese degli anni Trenta.

Se sono superflui in questa sede i rilievi sui cambiamenti sociali, si deve considerare come le attività degli “operatori dell’occulto” abbiamo oggi generalmente una veste professionale e comunque, esteriormente almeno, una rappresentazione di se stessa accompagnata da un corredo para-scientifico nei limiti della correttezza, tale da legittimare iniziative legislative tese alla

istituzione di albi per la regolamentazione dell’esercizio di tali attività.

Perciò appare francamente impossibile applicare automaticamente la qualifica di ciarlatano a tutte le categorie elencate dall’art. 231 del regolamento di esecuzione delle leggi di pubblica sicurezza, visto che, ad abundantiam una simile interpretazione dovrebbe colpire anche la concessionaria pubblica del servizio radiotelevisivo in quanto trasmittente quotidiana di oroscopi.

Quindi, essendo tuttora vigente la tutela della credulità popolare, si deve ritenere che essa debba essere attuata mediante la valutazione del concreto svolgimento dei mestieri attinenti la parapsicologia, l’occultismo e l’esoterismo e verificando a seguito di istruttoria mirata ove i comportamenti sfocino oggettivamente in un’impostura tale da abusare dell’ignoranza e della superstizione.

Poiché quanto da ultimo indicato non è stato compiuto dal provvedimento impugnato, il quale prescinde del tutto da valutazioni specifiche, esso va annullato e sono fatti salvi ulteriori atti che la P.A. vorrà adottare in merito alla concreta fattispecie.

Sussistono i motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Liguria, sez. II definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.